#PERSONE : Marta Dall’Agnola

Marta indossa la canotta MYANMAR onde coloniale e la minigonna GINEVRA micro macu nero/corallo.

Ciao Marta, raccontami chi sei..
Questa è una di quelle domande che poste ad una che ha studiato filosofia getta sempre un po’ nel panico del “devo rispondere in modo esistenziale? Devo solo dire che lavoro faccio?”. Quindi farò un sano mix. 
Mi chiamo Marta, sono di Verona ma al momento vivo a Milano. Ho vissuto ad Hong Kong qualche anno e questo dettaglio è forse quello che congiunge il mio piano esistenziale con il mio piano lavorativo. Sono andata ad Hong Kong per lavorare e li ho trovato l’occasione di un ristabilito equilibrio e con esso una vita felice dentro e fuori.
Lavoro in comunicazione ambito moda ma da sempre spazio in mille altri progetti che in comune hanno la ricerca delle cose/persone belle (in qualsiasi forma) magari un po’ nascoste, che meritano di essere illuminate. 
Legato a ciò c’è una naturale attrazione verso la scoperta – spesso espressa nei viaggi, dai più banali ai più allucinanti e assurdi, con l’obiettivo di accrescere le mie famose “bandierine” (who knows me knows) piantate per il mondo – ad oggi siamo a 81 and counting 🙂

Cosa significa per te femminilità?
Comfortable in your own skin. Banale forse ma vedo che nella femminilità, come per l’amicizia, vengo attratta dalle persone che riescono a convivere pacificamente con ciò che sono. Questo modo di stare può assumere poi diverse forme esteriori, ma hanno tutte in comune una luce, una energia che rimanda ad un match “interiorità – esteriorità” molto potente.
La femminilità è quell’onda, quella scia, che una donna emana, nella scelta – non necessariamente cosciente – di comunicare chi è – e può farlo davvero in tutti i modi. Personalmente amo un tipo di femminilità “effortless”/understated” (per fare un po’ di English terms drop), a tratti finto ingenua (penso ad una Marine Vatch, una Letizia Casta, o una più giovane Margaret Qualley), ma non disdegno piume e lustrini alla giusta occasione o sulla giusta persona.
L’equilibrio dell’esprimersi con serenità è ciò che poi trapela dalla scelta di quell’outfit, quel taglio di capelli, quelle scarpe o quegli accessori. 
Di questa attitude qui sopra tante donne sono fornite in modo naturale, per altre è un percorso, per altre ancora è una strutturata scelta. Il risultato è uno sfaccettato mondo al femminile.

Cosa rappresenta per te la maternità? E cosa significa essere mamma. Che a mio avviso sono due concetti molto diversi.
Io sono una di quelle che ha sempre sognato una famiglia (complice il fatto che in una famiglia splendida io ci sono cresciuta) eppure diventare mamma è stato ed è una esperienza a sè – che poco aveva a che fare con tutte le cose immaginate (a partire dal fatto che immaginavo una bambina mora e ho avuto un bambino biondo). 
La maternità come concetto è in qualche modo il senso di ownership di un qualcosa, che può essere anche un’idea, un progetto, un marchio come Luce, la realizzazione di una casa e via dicendo.. Diventare mamma è molto più concreto, molto più inaspettato, è una relazione che poco ha a che fare con la “proprietà”. 
Dico sempre che aver avuto un bambino completamente distante da tutto ciò che avevo immaginato mi ha in realtà restituito il privilegio di vederlo davvero come una persona a sé, con una identità propria, e non come una realizzazione di un mio desiderio costruito negli anni. Questo mi ha dato la possibilità di mettermi in relazione con lui e letteralmente scoprirlo man mano. Spesso lo guardo e davvero genuinamente gli dico “ma chi sei?” Perché ancora dopo 9 mesi mi stupisco che lui sia con noi, viva in casa, abbia le sue abitudini e il suo modo di occupare gli spazi. 
È a tutti gli effetti una persona e in questo io mi sento mamma – nella relazione con questa nuova persona che in niente “è mia” ma che per sempre spero sarà nella mia vita. Nella responsabilità che sento nel curare ogni aspetto di questa relazione, da adesso che dipende in toto delle cure dei suoi genitori, fino a quando invece di ciò non avrà più bisogno ma spero voglia comunque avete un rapporto su un altro piano. È forse contorto? Si perdonami. 

Cosa è cambiato di più in te dopo l’arrivo di Giulio?
Sono meno imbranata. Sono sempre stata quella imbranata, ora non solo lo sono molto meno, ma mi sento quasi skilled in alcune cose. Si dice di necessità virtù no? 
Sono anche diventata estremamente – estremamente – paziente, cosa che non fa esattamente parte del mio carattere come bagaglio naturale. 
Ma queste sono le cose superficiali seppur utili! 
Inoltre sono diventata molto consapevole dell’enorme importantissima impronta ed eredità che lasciano i genitori. Io ho avuto una mamma a dir poco meravigliosa e vedo che nel mio sforzo con Giulio lei rimane sullo sfondo il mio modello. Purtroppo non c’è più e il vuoto è tanto anche perché sarebbe stata una nonna stratosferica!  
Anche rispetto a questo credo che ciò che è realmente cambiato è una profonda consapevolezza della vita. In un modo anche “spaventoso” se vogliamo. Sono diventata meno figlia e più mamma, di tutti. 
Non mi ritengo una mamma apprensiva – richiederebbe ulteriori energie e mi sembra di spenderne gia a sufficienza così com’è – però sicuramente sono più conscia dell’importanza delle singole scelte che compio per Giulio finché lui non può compierle da solo. Sono molto grata per tante cose che sembrano scontate ma non lo sono, a partire dalla salute di tutti nella nostra famiglia. Sono banalità estreme da dire magari ma sono anche i pilastri  di tutto – e quando metti al mondo una nuova vita su quei pilastri ci conti. 

Come è cambiata (se per te è cambiata) la percezione del tuo corpo dopo la gravidanza? 
Eh… ho avuto l’immensa fortuna di essere velocemente tornata “nei miei panni”. Quindi nonostante il mio corpo sia diverso, un po’ più “largo” (?), piu materno davvero, sono comunque molto consapevole che senza alcuno sforzo sono riuscita a rivedermi “me stessa”. Lo dico onestamente, non vivrei benissimo l’idea di rimanere segnata a livello estetico dalle gravidanze – ma allo stesso tempo sono troppo pigra per occuparmi seriamente di essere Belen. Quindi se il mio corpo non mi avesse fatto il favore di tornare a posto, sarei stata semplicemente “triste” (con tutte le virgolette del caso) e in una qualche forma di disagio. 
Può essere sbagliato – razionalmente la penso diversamente – ma è la mia risposta più sincera. A volte (come su questo tema) mi trovo incastrata tra quello che vorrei pensare (“your body is amazing and it gave you your child”) e quello che di fatto mi trovo a provare (“voglio tornare com’ero”). È un lavoro lungo quello sulla percezione del corpo, ma già prenderne consapevolezza – come in tante altre cose – è importante. Forse la mia non è una risposta super matura o aspirational, ma é una risposta autentica seppur in divenire.

Cosa pensi degli stereotipi legati all’essere mamma?
Mi tocca molto (ne scrivevo in un post su Instagram) l’apparente necessità di essere una “cool mum”. Lo stereotipo legato alla mamma è quello di una “che smette di vivere”, di una un po’ sfigata fuori dal mondo che fa le torte e parla solo di bambini. Per contro quindi, sopratutto sui social, c’è tutta una retorica che deve abbinare l’essere genitori all’essere “cool”, quasi a doversi giustificare: si, sono una mamma ma giuro sono ancora frequentabile. 
Io sono una di quelle che è uscita a fare aperitivo dopo 1 giorno che sono uscita dall’ospedale, ho viaggiato e viaggerò, porto Giulio ovunque e a volte lo lascio anche volentieri a casa. MA. Ma è un team work. Ho avuto un bambino che mi ha permesso tutto ciò e diciamo che di questa fortuna ho fatto buon uso. Se Giulio fosse stato un bambino ad alto contatto / isterico / problematico mi sarei chiusa in casa per il tempo necessario senza dover dimostrare niente a nessuno. Sono felice di essere riuscita in una transazione serena ma questo non fa di me niente di più di qualsiasi altro genitore. 
Certo poi questa domanda aprirebbe altre mille sfumature e risposte, ma direi che come primo step questo è il layer che più mi preme e che spesso discuto con le mie amiche in attesa – “you do you”, non esiste il modo “figo” di essere una mamma, lo sarai come sarà in tuo potere farlo e come tuo figlio/a ti chiederà di esserlo. Tutto il resto è roba virtuale che è divertente ma poco ha a che fare con la vita.

Quanto è stato importante per te il supporto di altre mamme/donne dopo la nascita di Giulio?
Fondamentale! Devo dire che insieme a Giulio stesso “le altre mamme” sono la cosa più bella che ho trovato. Incredibile la quantità di persone che ho ritrovato, che ho visto sotto un’altra luce, con cui ho fatto “pregnancy bonding”, a cui mi sono appoggiata psicologicamente e praticamente. Avendo trovato tutto questo io ci tengo moltissimo a restituire questa accoglienza alle persone che da me la cercano, che sia un consiglio di acquisto o una condivisione di stati d’animo. 
Devo dire che la mia versione “mamma” riesce ad esprimere e a potenziare moltissimi miei aspetti di donna – in primis l’empatia e l’esserci SEMPRE. Quando dico sempre intendo proprio che rispondo 24/7 a chiunque abbia bisogno di me. Vedo quindi che riuscire a empatizzare con le neo mamme o con le persone in attesa e l’essere sempre molto disponibile mi sta portando in un bellissimo circolo virtuoso in cui riesco a costruire davvero dei bei rapporti, in cui mi sento “utile” solo essendo me stessa. Sono rari i momenti della vita in cui questa cosa avviene e io l’ho trovata nel diventare mamma, un lavoro dove le mie attitudini si incontrano con la “job description” e tutto funziona!   

Cosa vuoi trasmettere con il tuo profilo instagram?
Una volta il mio profilo erano viaggi dall’altra parte del mondo uno dietro l’altro, la mia vita ad Hong Kong (decisamente instagrammabile) e quella normale dose di showing off che la piattaforma incoraggia. Ad oggi però il mio utilizzo è molto cambiato, è diventato per me molto più che per gli altri ed è per gli altri molto più nelle didascalie che nelle foto. 
Da quando sono mamma il mio Instagram è una sorta di diario pubblico, dove a volte scrivo cose che voglio ricordarmi di quel periodo, e che voglio lasciare out there per le altre persone in modo che uno si possa soffermare a ragionare ad una cosa nuova o a ritrovarsi in pensieri condivisi. 
Spesso le persone (che nemmeno conosco offline) mi scrivono nei messaggi privati e anche se non sono abituata ad avere scambi con sconosciuti, l’inevitabile community che è l’essere mamme, è così potente che trovo molto arricchente persino scriversi in DM. 
Diciamo che ad oggi potrei definire il mio Instagram come il titolo della mia tesi di laurea: “I pensieri dell’occhio”. Il mio profilo è il mio sguardo sul mondo, la cornice attraverso cui guardo le cose e su cui, inevitabilmente data la mia indole, penso. 
Credo quindi di avere un mix delle cose che di fatto più mi rappresentano: l’estetica, il ragionare, l’ironia. 
Mi piace fare e pubblicare foto belle, restituire su una piattaforma come Instagram il mio filtro sul mondo – spesso estetizzante seppur non artefatto. 
Allo stesso modo ho un profondo bisogno di ragionare e rimasticare tutto – la genitorialità non solo non fa eccezione, ma mi sta dando infinite diramazioni di pensiero (alcune delle quali mi piace trasmettere nelle didascalie dei miei post). 
Da ultimo però mi piace anche ridere! Del “mal comune mezzo gaudio”, della personalità di Giulio che va buffamente sviluppandosi, della vita così cambiata.

Una cosa che gli altri non sanno di te.
Mi sono fatta aiutare da Ste (mio marito) su questa perché credo di avere una dimensione privata molto sviluppata quindi in effetti di risposte ce ne sarebbero molte! 
Lui mi ha suggerito “dí che sei strana”. 
Ha aggiunto di confessare che sono piena di fisime e “giochi/regole” interni quantomeno singolari (ed è vero in effetti). 
Una notevole è quella del “mai più” (come la chiama lui): ovvero se non faccio una cosa per la prima volta per un po’ di tempo poi non posso farla mai più. Gli esempi eclatanti si sprecano, tra cui quello a proposito di un libro bellissimo gigante di ritratti moda che mi hanno regalato al 18esimo e che per qualche ragione non ho sfogliato subito perché volevo avere un momento per godermelo bene e niente, non avendolo fatto subito poi era passato “troppo tempo” e quindi non l’ho fatto mai più. E ora voglio che rimanga così, as crazy as it may sound. Quindi da quando ho 18 anni ho questo libro che ho trasportato in mille traslochi in tutte le case, esposto in bella vista perché è stupendo, ma non l’ho mai aperto e non lo aprirò mai!