
Il rispetto del materiale è la chiave del suo lavoro. Studio, passione, ricerca e creatività sono fondamentali per il progetto artistico di Nina, giovane ceramista di Milano, perché da un materiale informe e morbido che si deve saper trattare, si crea una forma che non si sa come faccia a “star su”.
Ciao Nina! Ci racconti chi sei?
Ciao Luce, mi chiamo Nina e sono una ceramista autodidatta di Milano. Non ho una formazione puramente artistica, ho fatto qualche corso a Londra e lavorato in uno studio di ceramica a Kuala Lumpur.
Realizzo vasi al tornio con argille naturali e rocce che raccolgo e processo a mano.
Il mio lavoro è ricerca del materiale, estetica di un luogo ed è archivio autobiografico di viaggi in posti che ho visitato e che sono stati significativi per me.
La ricerca e la sperimentazione con materiali non commerciali è quella che mi interessa di più. Al momento sto lavorando con argille raccolte in Lombardia e rocce di isole vulcaniche.
Lo dici con estrema naturalezza, ma cosa vuol dire raccogliere l’argilla?
C’è molta argilla ovunque. In Italia quasi tutto l’Appennino è argilloso e anche in alcune zone delle Pre Alpi. E’ semplicemente una roccia che per vari processi geologici se frantumata abbastanza diventa una polvere sottile che è plastica a contatto con l’acqua. Quindi quando dico che raccolgo materiali naturali ed uso argille che non sono commerciali vuol dire che in natura studio una carta geologica o varie ricerche scientifiche o archeologiche per capire dove potrebbe esserci il materiale argilloso. Poi semplicemente con una paletta la raccolgo, la processo, che vuol dire passarla al setaccio e la reidrato di modo che sia una materiale plastico che riesco ad usare al tornio.
Da cosa deriva questo nome, “Unurgent Argilla”?
Era il 2019, mi trovavo a Londra e diedi il via a questo progetto. Ero lì per un dottorato che sto ancora frequentando ed ho sentivo la necessità di fare qualcosa con le mani. Qualcosa che fosse veramente legato al saper “fare”. I miei lavori precedenti erano burocratici e d’ufficio e mi sentivo particolarmente alienata.
Volevo che nel nome ci fosse un rimando alla lingua italiana. Scelsi “Argilla” perché era la parola che mi legava alla mia Terra e poi Unurgent, che significa “non urgente”. Adesso vi spiego: la ceramica è una cosa lenta, e mi piace questa sicurezza. Non la si può rendere più veloce di quello che è, ha bisogno dei sui tempi, ha bisogno di essere stratificata a livello del materiale, a livello di processi. Trovo che urgenza sia una parola molto abusata. La ceramica richiede stabilità e durata, si fonda su rapporti consequenziali, sulla continuità e sulla stratificazione di gesti ed elementi. Nell’urgenza invece c’è una dimensione molto diversa, improvvisa, compresente, che abusa della nostra attenzione. Di solito poi bisogna ripensarci.
Perché l’argilla e non qual cos’altro?
Ho scelto la ceramica un pò per caso, questo progetto con l’argilla è nato dalla necessità di “fare”, con le mani, qualcosa di pensato, concreto e trasformato. Sono sempre stata interessata al materiale in sè. Vengo da una zona di montagna e ho sempre raccolto rocce. Mio zio è un geologo e quando tornava dai suoi viaggi mi portava sempre in regalo delle rocce. C’è sempre stata questa connessione con la “terra” ed interesse geologico.


Parlaci della tua ispirazione…
Sono ispirata dal materiale crudo e dai posti in cui lo raccolgo. Mi piace che l’idea che l’argilla sia poco pretenziosa e che si trovi proprio sotto i nostri piedi, quasi dappertutto. Voglio che i miei vasi siano un rimando diretto al posto da cui vengono e al materiale di cui sono fatti. Cerco di processare il materiale il meno possibile e lasciare che sia il meno astratto possibile e parli egli stesso.
Quello che creo è una sorta di archivio, che è anche in qualche modo un po’ autobiografico, perché sono terre e rocce di posti in cui ho vissuto o che hanno qualche rilevanza simbolica per me. Vorrei essere il più sincera possibile verso il materiale e il luogo da cui proviene, la sua storia, il lavoro e il processo che sono necessari per trasformarlo in un oggetto con una forma e presenza definita.

Quanto tempo impieghi a realizzare un vaso?
Ci vogliono un paio di settimane per processare il materiale, per passarlo al setaccio e ridratarlo. Lo lavoro al tornio e, in base alla grandezza del vaso e alla difficoltà, ci vuole all’incirca un’ora in due sedute per realizzarlo. Il secondo giorno, quando l’argilla è quasi asciutta e tiene la forma, la taglio e stampo sotto al vaso la mia firma “UA”, le informazioni sull’argilla ho utilizzato e dove e l’ho raccolta. Il vaso prende il nome del luogo in cui ho raccolto l’argilla: Pantelleria, Stromboli, Lanzarote, ecc . Si asciuga in cinque giorni, al massimo in una settimana, e poi se è un’argilla naturale cuoce una sola volta andando già in temperatura stando nel forno dalle 24/36 ore. Se invece devo usare anche una roccia, lo cuocio prima una volta, applico la roccia e lo ricuocio una seconda volta.
Perché realizzi solo vasi di forma rotonda? Ed il primo dove lo hai realizzato?
In ceramica la forma rotonda è una forma moto classica che è stata rivisitata attraverso geografie e storie e periodi culturali diversi. Tecnicamente è abbastanza difficile ma per me era quella più semplice per poter mostrare il materiale per quello che è.
Ero a Kuala Lumpur, quando ho realizzato il mio primo vaso di forma sferica. La forma si ispira alle munger coreane, perché il mio maestro era coreano. Sono vasi rotondi, molto più grandi, di colore bianco che hanno una forma più rigorosa rispetto a quelli che faccio io.
Qual’è il pezzo che più ti rappresenta?
E’ sicuramente un vaso rotondo. Probabilmente uno degli ultimi pezzi di Pantelleria in cui c’è questa sabbia vulcanica di basalto e riolite che si è sciolta nel corpo argilloso. Mi piace come sono diventati, sono così imperfetti ma allo stesso tempo perfetti nella loro forma.
I due vasi di Pantelleria, seppur realizzati con lo stesso materiale, hanno sfumature diverse. Com’è possibile?
Raccolgo il materiale e lo processo a mano in piccole quantità, quindi di ogni singolo materiale, riesco a fare due, al massimo tre vasi. Sono tutti diversi, seppur sferici, perché il materiale, essendo non commerciabile, ha molta personalità. Io tendo a dargli una forma e lui risponde come vuole. Quindi anche se con lo stesso materiale realizzo due vasi, questi due saranno diversi.
Il tuo Life Motto?
“Preferirei di no”. E’ un rifiuto di uno scrivano verso un avvocato di Wallstreet. Risponde a qualsiasi richiesta burocratica, lavorativa e di urgenza con questa frase super semplice che lo manda in tilt.


Quali sono i punti forza del tuo progetto?
Penso di aver trovato la mia strada perché per la prima volta sento di non dover scendere a compromessi con chi sono. Voglio che il mio lavoro sia onesto, semplice, quasi un po’ austero, non stanchi l’occhio e non sia ironico, pop o troppo chiassoso. Lavorare la terra ha anche una dimensione politica molto forte, ma sto solo iniziando a capire le implicazioni, spesso problematiche, del lavoro con risorse naturali, argille e minerali, anche quando fatto localmente e su piccola scala. In futuro vorrei lavorare di più su questo aspetto.
La parte conoscitiva che c’è dietro al materiale, che è quasi scientifica e di sperimentazione è la parte che amo di più del lavoro. Un materiale prima di poterlo usare lo devo testare, capire cosa succede a diverse temperature, se lo mescolo con altri, se lo lascio completamente puro o se lo frammento in polvere sottile o in polvere a grani. E’ molto interessante la conoscenza chimica, tecnica e geologica della disciplina della ceramica.
Cosa sognavi da Bambina?
Ho sognato di fare un po’ tutto, dall’architetta all’astronauta. Non arrivo da una formazione artistica, mi sono laureata in economia e ho lavorato all’ONU e nel no-profit per un po’ di anni.
Qual’è la tua uniforme quotidiana?
Indosso per lo più un paio di jeans che a fine giornata sono ricoperti di argille, sui quali ci sono tutti i gesti al tornio di quella giornata. Mi piace la serialità delle uniformi da lavoro e da studio, che poi pero’ diventano un canvas unico con i segni e l’usura di ogni gesto e di ogni argilla che uso. Adesso sto lavorando su un progetto per usare l’argilla come pigmento e tintura tessile, ispirata proprio alle macchie sui pantaloni.





